Gli anni di Belluno
«È stato ricordato dai giornali, anche troppo forse, che la mia famiglia era povera. Posso confermarvi che durante l’anno dell’invasione ho patito veramente la fame, e anche dopo; almeno sarò capace di capire i problemi di chi ha fame!»
(Papa Giovanni Paolo I nell’udienza ai Bellunesi il 3 settembre 1978)
Nato da Giovanni Luciani e Bortola Tancon, ebbe tre fratelli: Tranquillo Federico (1915-1916), Edoardo (1917-2008) e Antonia, detta Nina (1920-2009). Il padre, di idee socialiste, emigrò in seguito in Svizzera per lavoro. Nell’ottobre del 1923 Albino entrò nel seminario interdiocesano minore di Feltre e in seguito, nel 1928, nel seminario interdiocesano maggiore di Belluno.
Fu ordinato diacono il 2 febbraio 1935 e presbitero il 7 luglio dello stesso anno nella chiesa rettoriale di San Pietro apostolo a Belluno (contigua al Seminario Gregoriano). Venne subito nominato cappellano e vicario cooperatore di Canale d’Agordo (9 luglio), ma già il 21 dicembre venne trasferito ad Agordo dove fu cappellano fino al luglio 1937], e dove inoltre insegnò religione all’istituto minerario. Poi presso il Seminario Gregoriano di Belluno fu insegnante (1937-1958) e, dal 1º ottobre, vice-rettore (1937-1947).
Il 27 febbraio 1947 si laureò in sacra teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma con una tesi su L’origine dell’anima umana secondo Antonio Rosmini: quella di Luciani e dei suoi relatori fu di certo una scelta audace, poiché si trattava di un autore con due libri messi all’Indice, all’epoca non ancora del tutto riabilitato dalla Chiesa. In novembre fu nominato da monsignor Girolamo Bortignon, procancelliere vescovile della diocesi di Belluno-Feltre; il mese successivo venne nominato anche cameriere segreto soprannumerario e segretario del sinodo diocesano (nel 1947 si ritirò un mese intero nell’appartamento del vescovado nella Certosa di Vedana). A queste nomine, il 2 febbraio 1948 si aggiunsero pure quelle di provicario generale della diocesi di Belluno e di direttore dell’ufficio catechistico diocesano.
Nel 1954 divenne vicario generale della diocesi di Belluno; nel frattempo (1949) aveva pubblicato il volume Catechetica in briciole; del libro verranno pubblicate sei edizioni in Italia e una anche in Colombia. Il 30 giugno 1956 fu nominato canonico della Cattedrale di Belluno.
In questi anni gli fu erroneamente diagnosticata una tubercolosi incurabile e per questo fu costretto a lasciare la parrocchia e recarsi in sanatorio a Sondalo, in Valtellina, dove i medici si accorsero dell’errore dei colleghi, diagnosticando e curando la vera malattia: una polmonite. Luciani fu diverse volte proposto per la nomina a vescovo, ma venne respinto per due volte a causa delle sue precarie condizioni di salute, della voce flebile, della bassa statura e dell’aspetto dimesso. Dopo l’ascesa al soglio di Pietro di Giovanni XXIII, il 15 dicembre 1958 fu finalmente promosso vescovo di Vittorio Veneto. A tal proposito si narra che Papa Giovanni, respingendo le varie perplessità riguardo ai motivi per cui fino ad allora non fosse stato promosso, legate principalmente alle sue cagionevoli condizioni di salute, sentenziò bonariamente:[
«…vorrà dire che morirà Vescovo.»
Ricevette la consacrazione episcopale nella basilica di San Pietro in Vaticano il 27 dicembre per l’imposizione delle mani di Giovanni XXIII, co-consacranti i vescovi di Padova e di Belluno-Feltre, Girolamo Bartolomeo Bortignon e Gioacchino Muccin. Insieme a lui fu consacrato anche monsignor Charles Msaklia, originario della Tanzania: i due rimarranno amici e sarà proprio grazie a questo prelato africano che Luciani inizierà a conoscere la realtà della Chiesa cattolica in Africa.
Luciani vescovo di Vittorio Veneto
Luciani prese possesso della diocesi l’11 gennaio 1959. Il “periodo vittoriese” sarà decisivo per la sua formazione. Iniziò subito le visite pastorali nelle parrocchie. Luciani, che mai in vita pensò alla carriera ecclesiastica, lasciò Belluno a malincuore, prendendo le redini di una diocesi con i bilanci in grave passivo: infatti, quelli erano gli anni in cui lo IOR, meglio conosciuto come Banca Vaticana, era entrato in crisi.
Luciani non nascose di sopportare a fatica la gestione economica della Chiesa, specie negli anni in cui lo IOR fu diretto dall’arcivescovo statunitense Paul Marcinkus, sostenendo che la Chiesa avrebbe dovuto avere una condotta economica il più trasparente possibile e coerente agli insegnamenti del Vangelo.
Negli anni di episcopato a Vittorio Veneto mostrò innanzitutto insuperabili doti di catechista, per la sua capacità di farsi comprendere da tutti, anche dai bambini e dalle persone di poca cultura, per la sua chiarezza nell’esporre, la sua capacità di sintesi e la sua tendenza ad evitare discorsi e letture difficili, nonostante la profonda cultura che aveva. Lo stesso raccomandò sempre ai suoi sacerdoti.
Si dimostrò insofferente al dovere di risiedere nel castello di San Martino, residenza storica dei vescovi vittoriesi, posta in posizione arroccata e distaccata rispetto all’abitato di Vittorio Veneto: avrebbe preferito una dimora più vicina alla sua gente. Avvertì in anticipo i nuovi venti della “contestazione”, ribadendo l’importanza dell’Azione Cattolica che cominciava a sentire il peso degli anni.
Ebbe grande attenzione per la formazione dei giovani e sollecitò la partecipazione dei laici alla vita attiva della Chiesa, all’epoca ancora piuttosto ridotta. La sua indole bonaria non era però piegata alle idee correnti della moda e, ad esempio, una volta divenuto Patriarca si batté apertamente contro l’istituzione del divorzio durante il referendum del 1974, opponendosi apertamente come Vescovo ad alcune associazioni cattoliche che si rifacevano alla FUCI veneta e che invece si schieravano a favore del divorzio.
Luciani e la Chiesa africana
Nel marzo 1962 ricevette la visita di monsignor André Makarakiza, tutsi membro di una famiglia nobile del Burundi, convertito al cattolicesimo e diventato in sèguito sacerdote e poi vescovo di Ngozi. Era venuto per chiedere a Luciani alcuni sacerdoti per la propria diocesi, e quest’ultimo acconsentì, conscio delle necessità delle popolazioni locali. La scelta cadde sul giovane don Vittore De Rosso] di Farra di Soligo, che partì in dicembre, destinazione diocesi di Kuntega, Burundi, praticamente senza un soldo in tasca a causa della grave situazione economica della diocesi. Si trattava del primo sacerdote missionario Fidei donum di quella diocesi; se ne sarebbero aggiunti altri due l’anno successivo.
Qualche anno dopo, i tre missionari chiesero e ottennero dal loro vescovo di celebrare la messa non in lingua latina ma nell’idioma locale, e di comunicare i fedeli per mano e non per bocca per motivi igienici: tutto questo in anticipo rispetto alle disposizioni introdotte dopo il Concilio Vaticano II. Dal 16 agosto al 2 settembre 1966, Luciani compì una storica visita pastorale nelle missioni africane della sua diocesi, durante la quale conobbe usi e costumi delle popolazioni locali, celebrò Messa in chiese affollatissime, imparò un po’ di lingua kirundi, sopportò a fatica il clima e le zanzare e subì tutta una serie di imprevisti, tra cui una zecca sotto un’unghia e l’impantanamento della jeep su cui viaggiava: in quell’occasione Luciani non si fece problemi a scendere dal mezzo e spingere la vettura insieme agli altri.[14]
Questa serie di incontri ravvicinati con le realtà africane, così come i successivi in Sudamerica, non fece altro che aumentare la sensibilità del futuro papa riguardo ai problemi delle popolazioni del terzo mondo.
Lo scisma di Montaner
Nel 1966-1967 il vescovo Luciani si trovò ad affrontare una spinosa questione riguardante la parrocchia di Montaner, frazione del comune di Sarmede, alle pendici del Cansiglio. Il 13 dicembre 1966 morì l’anziano parroco don Giuseppe Faè, amatissimo dalla popolazione. Nei giorni seguenti maturò fra la gente l’idea che il cappellano Antonio Botteon, che si occupava da tre anni del vecchio parroco, potesse essere perfetto per il paese. Il vescovo Luciani prima ricordò che i parroci non sono eletti dal popolo e poi nominò nuovo parroco di Montaner don Giovanni Gava, il cui insediamento sarebbe dovuto avvenire il 22 gennaio 1967.
In paese, rifiutando la scelta del vescovo, si costituì allora un comitato che proponeva di far rimanere il cappellano Botteon o come nuovo parroco, o come viceparroco. La risposta del vescovo Luciani fu negativa: non solo, come già detto, per il codice di diritto canonico non è contemplata l’elezione del parroco da parte dei parrocchiani, ma il cappellano Botteon era troppo giovane per amministrare da solo una parrocchia. Inoltre, non si riteneva necessario un viceparroco per un paese così piccolo. La scelta di Luciani provocò una durissima reazione della popolazione, che arrivò a murare porte e finestre della chiesa e della canonica per impedire al cappellano Botteon di andare via.
Montaner si divise allora fra i sostenitori del cappellano Botteon come nuovo parroco e una minoranza che non riteneva giusto ribellarsi al vescovo. Tra le due fazioni scoppiò un vero e proprio odio, sfociato anche in atti di violenza. Nei giorni seguenti la protesta si inasprì e il paese venne presidiato stabilmente dai carabinieri, anche per la notizia che a Montaner fossero state trovate delle armi; la cosa non fu smentita dalla popolazione visto che molti in casa avevano pistole e fucili dal tempo della seconda guerra mondiale.
Il 9 febbraio 1967 una delegazione di montaneresi partì per Roma con la speranza, rimasta vana, di un colloquio con Paolo VI. La data più cruenta di questa vicenda fu il 12 settembre 1967: dopo varie mediazioni fallite nei mesi precedenti, nel pomeriggio arrivò a Montaner Albino Luciani in persona, preceduto dal vicequestore di Treviso, alcuni commissari, poliziotti e un autobus di carabinieri, chiamati per scortare il vescovo nonostante lui stesso non ne avesse richiesto l’intervento.
Per punire la disobbedienza di quei parrocchiani, Luciani entrò in chiesa, prelevò le ostie consacrate dal tabernacolo e andò via, lanciando l’interdetto contro la parrocchia: da quel momento nessun sacerdote avrebbe più potuto celebrare funzioni o amministrare i sacramenti.] I parrocchiani dissidenti, allora, compirono un vero e proprio scisma costituendo in paese una comunità ortodossa che resiste ancora al giorno d’oggi.
Concilio Vaticano II
Il vescovo Luciani partecipò a tutte le quattro sessioni del concilio Vaticano II (1962-1965), intervenendo e facendosi così conoscere tra i ranghi della Chiesa cattolica. Il 15 dicembre 1969 papa Paolo VI nominò Luciani patriarca di Venezia. Neanche cinquanta giorni dopo, il 1º febbraio 1970, Luciani ricevette la cittadinanza onoraria di Vittorio Veneto.